Questa è per lo stronzo
che su Tinder hai incontrato,
che quando sei uscita
manco gli è importato.
Non ti scrive mai,
neanche una risposta,
la testa scoppia già,
forza su, ce la farai.
Sarà stata colpa mia,
che gli avrò detto,
non sarò il suo tipo,
con cui andrebbe a letto.
Gli hanno detto:
"bella zio, sta' tranquillo.
Se non ti interessa,
ignora lo squillo".
E io a quelli gli rispondo così:
ok belli, cazzo devo fare?
Non vedo nessun
"mi spiace, non c'è stata la magia"
o "carina, ma sono occupato
per i prossimi due anni".
Non posso che dire:
"bene, si torna al via!"
O potresti dirmi una balla
e che ora lavori a Dubai, scialla.
Così volo libera come una farfalla.
Non eri neanche troppo interessante,
e non sei manco così attraente,
ma non per questo puoi piantarmi
in mezzo alla gente!
Sono una persona, ho un cervello,
non scrivere né rispondere
non è tanto bello.
E come ogni donna
sono anch'io per natura condannata:
se non mi vuole,
gli corro dietro da ossessionata.
Anche se manco mi piaceva.
È una legge universale,
e così vi dico, a tutti voi maschi,
un fatto mi assale,
il peggio che possiate fare
è fingere che sia normale
perché le conseguenze non vi piaceranno:
consiglio cordiale.
(Risate)
Inizieremo con lo stalking su Facebook.
Perché sì: solo il tuo nome
ho imparato da Tinder
ma so anche che sei amico
di Danielle Cook.
T'ho trovato tra i suoi amici:
vedi un po' che look!
Ora inizierò a spulciarti la bacheca.
Presto scoprirò il gruppo
che ti piace e la tua discoteca,
e il tuo vero nome.
Da lì scoverò il tuo indirizzo
e inizierò a incrociarti per caso
vicino a casa tua.
Poi inizierò con più drastiche misure,
abile in congetture future,
ti spierò col binocolo
da dietro il cespuglio,
il gatto ti sparirà nel tafferuglio!
Baffino è scomparso, aiuto!
Cercalo, col tuo fiuto!
Lanci un gruppo di ricerca,
appendi volantini,
ma il povero micino
è sparito nel nulla.
Finché un giorno, come per miracolo,
din don, ti suono il campanello
con Baffino in braccio.
E farò finta di essere sorpresa:
"Oh mio dio, sei tu!
Non siamo usciti insieme cinque mesi fa?
Ma non mi dire, il gatto è tuo?
Alla fermata del bus l'ho trovato,
pensa che strano!"
Non lo è affatto, considerando
che ti pedino da 20 settimane
o anche di più.
Ma mentre siamo qui a parlare,
mi pento improvvisamente
di esser venuta fin quaggiù.
Ti ridò il tuo gatto
e mi pento di tutto il tempo
sprecato nascosta nell'anfratto.
Poi mi chiedi di uscire stasera,
e sono titubante,
ma poi penso "Sticazzi!
Quand'è che mi ricapita?"
Quindi usciamo, parliamo del gatto,
e per quale miracolo
io l'abbia trovato intatto.
E inizio a divertirmi e a pensare
"Be', magari questo tipo
non è il cialtrone che pare!"
Così ci divertiamo, ci baciamo,
ci salutiamo.
Voglio finire, voglio andare a casa.
Tu mi dici: "Vieni da me",
e io dico: "Ok, sì, vabbè".
Così andiamo a casa tua,
e facciamo il da farsi,
e quando esco la mattina
le tue ultime parole sono:
"Ti scrivo".
(Risate)
E per il tuo bene,
e per quello di Baffino,
stavolta, mio caro,
spero davvero non sia una fregatura.
Grazie.
(Risate) (Grida) (Applausi)
Grazie, gente!
Ciao a tutti.
Mi chiamo Emma,
e sono la campionessa locale
di poetry slam
qui ad Aarhus.
Oggi, ovviamente, voglio parlarvi
del poetry slam,
ma vorrei anche raccontarvi
della gioia di reinventare e ricreare ciò
che abbiamo davanti agli occhi.
Però, prima di farlo,
vorrei fare una dichiarazione ufficiale.
Mano sul cuore: vi giuro
che non ho mai rubato il gatto di nessuno.
Quella parte della poesia
era inventata di sana pianta.
È vero però che sono stata rifiutata
da un tizio incontrato su Tinder
e che ero arrivata a stalkerarlo
su Facebook.
Quella parte della poesia è,
ahimè, verissima.
Questo è un esempio di come scrivo.
Prendo storie vere,
che mi sono davvero successe,
e mi prendo la libertà di reinventarmele.
Il che, per me, è fantastico
per due motivi.
Innanzitutto, significa che ogni volta
che scrivo una poesia,
essenzialmente riscrivo la mia realtà,
il che, secondo me, è davvero figo.
Poi, significa anche che ogni volta
che scrivo una cosa nuova,
non è che devo ripartire
dalla preistoria, no?
Semplicemente, attingo al mio bagaglio
di esperienze imbarazzanti
che mi porto sempre dietro,
ne scelgo una, la moltiplico per 100,
e poi, oplà, ecco la mia poesia.
I pezzi che creo in questo modo
li presento a eventi chiamati poetry slam.
Per chi di voi non li conosce,
un poetry slam
è una gara di parole recitate.
Il format fu inventato negli anni '80
a Chicago da un certo Marc Smith.
Ciò che fece fu apparentemente
molto semplice,
ma secondo me allo stesso tempo
estremamente geniale.
In pratica, creò una gara
di recitazione con tre sole regole.
Uno: i partecipanti devono,
ovviamente, scrivere i propri testi.
Due: non possono usare
costumi né oggetti di scena.
Tre: la performance non deve durare
più di 3 minuti e 10 secondi.
Inoltre,
consegnò delle schede segnapunti
a cinque persone a caso nel pubblico,
perché potessero valutare
la performance del poeta.
In questo modo, trasferì tutto
il potere al pubblico,
e creò questo legame tra gli spettatori
e ciò che il poeta
stava facendo sul palco.
Penso che tutto ciò sia davvero
geniale per una serie di motivi.
Prima di tutto, perché
io amo questo format,
perché nella sua struttura
è davvero semplice,
ti permette, come performer
e come creativo,
di metterci dentro tutto quello che vuoi.
Inoltre, chi partecipa a uno slam
molto spesso assiste
a un'enorme varietà di stili
e performer molto diversi,
tutti nella stessa serata.
E poi, c'è anche questo
elemento di competizione.
È il pubblico che decide
chi supera la selezione,
chi vince la gara.
Si crea questa specie di atmosfera
davvero emozionante e dinamica,
sia per chi guarda,
sia per gli artisti sul palco,
che vengono giudicati.
Il secondo motivo per cui adoro
la storia dello slam e di come fu creato
è perché penso che sia davvero
un esempio geniale
di come molte grandi invenzioni
sono, in un certo senso,
re-invenzioni o ricostruzioni
o ampliamenti
di cose già esistenti:
scene, format, storie,
innovazioni, concetti,
strumenti, e via dicendo.
Un altro esempio magistrale di tutto ciò,
un esempio molto più ovvio,
è William Shakespeare.
È probabilmente il più grande
scrittore di tutti i tempi,
certamente uno dei più grandi
creativi di tutti i tempi,
tuttavia prendeva tranquillamente
in prestito trame già esistenti.
E penso che il motivo per cui tendiamo
a ricordarci le sue versioni,
a volte anche meglio degli originali,
è semplicemente perché lui riuscì
a riscriverli e a reinventarli producendo
qualcosa di straordinario.
Stranamente, questo mi riconduce
al mio modo di lavorare.
Non sto dicendo che il mio lavoro
è come quello di Shakespeare.
Non sono pazza: so di aver scritto
una poesia su Tinder.
No, mi riporta al mio modo di lavorare
perché quando lavoro, anch'io,
come ho detto prima,
prendo una storia che già esiste
e le do un tocco diverso.
E ho scoperto che amo
lavorare così, con creatività,
prendendo il materiale già esistente,
che è lì e ti guarda in attesa.
Eppure non ho sempre lavorato così.
Prima, ero distrutta dall'idea
che tutto quello che facevo
doveva essere originale al 100%,
doveva essere un processo
creativo davvero difficile,
quello che ti portava
a quel prodotto finito.
E non pensavo
che le mie esperienze personali
fossero particolarmente originali.
Sì, sono le mie esperienze originali,
ma sono esperienze che molto spesso
appartengono ad altre centinaia
e migliaia di persone nel mondo,
come la poesia su Tinder.
Tutti abbiamo avuto
una brutta esperienza su Tinder,
basta esserci stati
per più di un minuto.
Quindi nulla di unico, solo un cliché.
Ma poi ho scoperto
quando ho rinunciato
all'idea di essere originale,
e che invece amavo
lavorare con questi cliché
perché mi piaceva dar loro un tocco
diverso, aggiungere qualcosa di nuovo,
per cercare di catturare quel cliché
e trasformarlo in qualcosa di diverso,
qualcosa di nuovo,
e che magari fosse anche
migliore dell'originale.
Il motivo per cui sono riuscita
a lasciar perdere l'idea
di essere totalmente originale
è che ho iniziato a rivedere
il mio concetto di originalità.
E sono arrivata alla conclusione
che non credo che nessuno
possa essere originale al 100%.
Penso che ogni creatore,
che lo voglia o no,
è in qualche modo un ri-creatore.
Stiamo tutti sulle spalle
di chi ci ha preceduto,
di chi già ha pensato, parlato,
scritto e scherzato,
e quindi secondo me,
la creatività non è ispirazione divina.
Io penso si tratti di avere il coraggio
di provare ancora una volta
a rompere gli schemi.
Si tratta di osare e inventare da capo,
prendere ciò che nel tempo
si è fatto vecchio e malato,
mandarlo in frantumi,
e da quelle schegge, ricostruire,
aggiungere pensieri nuovi
al vecchio stracotto.
Perché la nascita di nuove idee
è l'unica cura contro la stagnazione.
Largo alla generazione
che presenta un mondo nuovo,
invece di adagiarsi
sulla vecchia frustrazione.
Rivalutiamo tutto ciò
che pensavamo di sapere,
guardiamoci indietro e cerchiamo
cosa poter revisionare.
Valutiamo e poi spariamo
su ciò che è marcio e fallato,
e forse come il vecchio William,
dalle fredde ceneri potremmo
plasmare qualcosa di sano
finché anch'esso non verrà disfatto.
Perché nulla dura in eterno.
Ma nulla nasce dal nulla,
così alla fine tutto ciò che sappiamo
un giorno sembrerà dimenticato,
ma vivrà in un angolo remoto
di pensieri che gente futura
potrà reputare rilevanti.
Allora, che sia questo il momento
in cui con le idee dipingiamo
dentro a schemi maledettamente decadenti,
che prima della loro scomparsa
ci avrà notato ben più di una generazione.
Creiamo un mondo fatto per dar luce
a meravigliose bestie di creazione
che ci galoppano intorno,
sradicando bulbi infruttuosi e secchi,
lasciando il posto a boccioli
di novelli garofani.
Osiamo ripensare,
reinventare e ricreare.
E, chissà, magari lasciarci dietro
qualcosa di grande.
Grazie.
(Applausi) (Grida)